Secondo Jean Baptiste Say, economista francese del XIX secolo, le crisi economiche potrebbero essere risolte in poco tempo senza la necessità di un intervento statale nell’economia, purché lo Stato adotti una politica di libero scambio, ossia senza l’imposizione di dazi.
Nella prima formulazione dell’omonima legge, contenuta nella sua opera Trattato di economia politica (1803), Say sostiene infatti che in un periodo di crisi economica, caratterizzato da un eccesso di Offerta (sovrapproduzione), il mercato sia in grado – da solo – di creare una nuova Domanda, che porterebbe di nuovo l’economia in equilibrio, e quindi fuori dalla crisi.
Perché?
Secondo l’economista francese, l’eccesso di offerta sui mercati porterebbe a una riduzione dei prezzi; i consumatori, vedendo i prezzi abbassarsi tornerebbero a spendere più reddito per consumi e investimenti, facendo così aumentare la domanda di beni. In questo modo è l’Offerta che da sola crea la Domanda.
La risposta alle crisi economiche quindi, secondo Say, deve essere fornita esclusivamente dal mercato che si regola da solo (la famosa Mano invisibile di Adam Smith), senza bisogno di un intervento dello Stato.
Per questo la Legge di Say, detta anche legge degli sbocchi, è diventata un importante argomentazione a favore del laissez-faire (assenza di intervento statale nell’economia), e la sua interpretazione è tutt’oggi ancora discussa dagli accademici.
Le critiche alla legge sono state numerose, soprattutto dopo Grande Depressione del 1929, dove è stato invece necessario l’intervento dello Stato per frenare la travolgente crisi economica che aveva colpito gli Stati Uniti.
La legge di Say infatti, per funzionare, si basa sull’ipotesi, giudicata troppo forte dai critici, che gli individui spendano interamente il proprio reddito, o sottoforma di consumi o di investimenti. Pertanto il Risparmio totale degli individui sarebbe uguale all’Investimento totale (identità R=I)
Ma se non vale quest’ipotesi, cioè se gli individui non investono tutti i loro risparmi, allora l’Offerta non è più in grado da sola di creare la Domanda, e di conseguenza il mercato non può da solo far fronte alle crisi economiche.
Questa posizione venne sostenuta anche da John M. Keynes, nella sua opera General Theory, dove è invece lo Stato che deve intervenire per fermare le recessioni e riportare l’economia alla crescita.
Di Andrea Bergonzi
inutile che diminuiscano i prezzi se comunque non si ha il reddito per acquistare…
è necessario l’intervento dello stato che dia risorse alle persone per far ripartire la domanda
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Alla diminuzione dei prezzi corrisponde la deflazione, un debito anzichè diminuire aumenta, l’attesa di una maggiore diminuzione dei prezzi frena gli acquisti, i beni primari acquistati per la produzione non vengono coperti dalle vendite …. si il mercato si autoregola eliminando chi non c’è la fa.
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Se sono condivisibili le considerazioni che mi precedono, è anche vero che chi ha ancora disponibilità finanziarie non le consuma o non le investe anche per paura che la congiuntura involva ulteriormente. La propensione marginale al risparmio è una variabile impazzita ed il consumo di sussistenza supera il reddito sempre più spesso. Lo strumento “jolly” della spesa pubblica all’inizio molto ben utilizzato, negli anni successivi è stato giocato in modo controproducente per finanziare la spesa corrente. Concludendo non è il mercato la soluzione, ma anche interventi correttivi sono quasi impossibili da mettere in atto. Io qualche idea l’avrei….
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La guerra o la rivoluzione?
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La guerra realizza il pieno utilizzo della capacità produttiva ma, come la rivoluzione, ha “effetti collaterali” nefasti. Sono sempre gli ultimi a pagare… No, pensavo a qualcosa di più “soft”.
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Quale idea
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Il solo “mercato” (odio questa parola!) produce diseguaglianze che alla lunga determinano, come è avvenuto, disoccupazione e perdita del potere d’acquisto delle fasce più povere. L’unica soluzione è affiancare al libero mercato imprese di Stato che garantiscano sia uno stimolo per la concorrenza e sia una base sociale larga che poi stimolerà l’economia.
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Bisogna ridurre il costo della manodopera e imporre delle leggi che vietino a determinati produttori di vendere un loro a prodotto a 800 euro se poi questi, per produrlo, han speso 12 dollari. Bisogna ridurre i volumi di guadagno da assegnare a coloro che stanno dietro la linea dell’offerta (produttori, distributori, etc), ovvero lo share che ogni faccia coinvolta nel mercato chiede per la propria pancia. Se il proprietario di un IP chiedesse il 33% anzichè il 66% di introito lordo da un proprio prodotto, e se il distributore chiedesse un rental gross del 10% piuttosto che del 22%, non ci sarebbe bisogno di sollevare l’asticella del prezzo e vendere un videogioco (faccio un esempio) a 69 euro, per far si che il venditore, a sua volta, ricavi una somma trattenuta quanta piu alta possibile. Spero che per chiunque ne capisca un pochino, capisca il mio discorso. Sarebbe un discorso molto piu ampio e lungo, ma non ho voglia di rimanere qui per le prossime due ore. 😉
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La validità della Legge di Say è stata definitivamente confutata da Maurizio Pasquino nel suo libro intitolato “La dispersione del reddito e le crisi economiche” nel modo seguente: i prodotti offerti possono essere utili, inutili o dannosi. Solo i prodotti utili trovano sbocco sul mercato, quindi non è vero che l’offerta di prodotti crea sempre la propria domanda. Consiglio vivamente la lettura di questo libro a tutti coloro che sono ancora convinti della validità della Legge di Say.
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La condizione necessaria che consente all’offerta di creare la domanda è che il prodotto offerto abbia valore d’uso positivo. Si può facilmente constatare che talvolta il valore d’uso dei prodotti offerti è nullo o addirittura negativo. La mia risposta è che quando il valore d’uso dei prodotti offerti è nullo o negativo la domanda di quei prodotti è anch’essa nulla. La dimostrazione è disponibile nel libro da me pubblicato dal titolo “La dispersione del reddito e le crisi economiche”
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